Chi per piacere, chi «solo se»

Roberto Beccantini8 aprile 2023

Dall’uovo dell’Olimpico, nessuna sorpresa: la Lazio cerca sempre di giocare, la Juventus solo quando vi è costretta. E così: 2-1. Sarri ha una certa idea di calcio, Allegri (influenzato e influenzante, immagino, il devoto Landucci) un’altra. All’andata e in coppa, aspettando e ripartendo, si era imposta Madama: 3-0 e 1-0. Questa volta, c’è stato un episodio (la rete di Milinkovic-Savic, da annullare) e c’è stata una partita. Un 2-2 non sarebbe stato iniquo, ma siamo sempre lì: per un’ora, Lazio avanti tutta e Juventus tutta indietro. Por qué?

C’era Immobile, più aggettivo che altro, non c’era Danilo. E c’era un Cuadrado indisponente, a rischio rosso (come Locatelli su Milinkovic-Savic). Cornice ardente, ring bollente. Luis Alberto, Zaccagni, Felipe Anderson e il serbo a passarsi la palla; Gatti, Bremer, Alex Sandro ad alzare un muro da football vintage. Di Maria sembrava il sagrestano che gira durante la messa a raccogliere le elemosine: ma che tirchie, le beghine.

La spintarella di luna, sul primo gol, con cui Milinkovic-Savic si libera di un Alex Sandro disco volante non commuove né Di Bello né il Var. Schiuma di rabbia, la Vecchia, e su angolo, una volta che riesce a scollinare la metà campo – un’impresa, fin lì – pareggia: parabola del Fideo, bolgia dantesca, incornatona di Bremer, scudo di Provedel e doppio, forse triplice, tap-in di Rabiot.

La ripresa sembra più mossa, ma la Lazio colpisce subito. Sarrismo allo stato puro: cross di Felipe, tacco di Luis Alberto, destro di Zaccagni. Tutti in piedi. E’ il 53’. Ecco: qui, solo qui, «comincia» la Juventus. Di rabbia, di forza, di cambi – tre, addirittura (Paredes per un Locatelli stremato, Chiesa per un Kostic terzino, Milik per un Vlahovic ingabbiato) e di trasloco: dal 5-3-2 al 4-3-3.
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Diavolo a quattro

Roberto Beccantini2 aprile 2023

In una notte, 23 punti di distacco possono diventare tante cose: ma uno 0-4, addirittura, pensavo francamente di no. Mea culpa. E’ successo al Maradona, nella prima puntata del romanzo di Napoli-Milan. Già all’andata, per la cronaca, il 2-1 firmato dal Cholito era stato sofferto. Il fiume del campionato aveva poi messo le cose a posto, tracciando argini profondi e invalicabili.

Improvvisamente, ‘sta mattanza. D’accordo, Spalletti ha lo scudetto in tasca ed era senza Osimhen, che al cambio fa 21 gol. Però c’è un però: non può non esserci. Zavorrato da più urgenze, di classifica e di assetto, Pioli ’ha incartato. Con la difesa a tre, aveva incerottato la crisi ed eliminato il Tottenham. Con il ritorno a un 4-2-3-1 mascherato – visto che i centrocampisti erano tre: Tonali, Bennacer, Krunic – ha asfaltato la grande bellezza. L’hombre del partido è stato il «generale» Diaz: assist a Leao, dribbling e raddoppio (complice le ante di Kim). Ondeggiava a ridosso di Giroud, spadaccino imprendibile.

Bennacer su Lobotka, altra mossa. Il Napoli ha lottato fino allo 0-3, ancora di Leao, imbeccato da un assatanato Tonali. Simeone crocerossina è una cosa, Simeone primario un’altra: l’area rimaneva vuota, alla mercé di Kjaer e Tomori. E Kvara? Fascia sinistra, sistematicamente raddoppiato da Calabria e Krunic, e, anche per questo, goccia e non onda, come ci aveva abituato. La sfida l’ha vinta Leao, restituito al suo «ufficio» di sinistra: non segnava da una vita ed era finito persino dietro la lavagna, in castigo.

L’epilogo l’ha siglato Saelemaekers, dribblando tutta Napoli. Al sospettificio ci si chiede: fu vera gloria? Per fortuna, già il 12 aprile a San Siro e il 18 ancora a Fuorigrotta i duellanti si scorneranno nei quarti di Champions. Scritto che il Diavolo è andato più vicino alla «manita» che non i rivali al gol della bandiera, il risultato odierno rimescola carte e morale. Esperti di tutto il mondo, coraggio.

Guarda e passa

Roberto Beccantini1 aprile 2023

Da salvare, il gol ( bello: da Miretti a Locatelli, il migliore, a Kean, controllo e destro), non il resto: anche per il contesto, immagino. Da una parte, la Juventus B; dall’altra, un Verona ammaccato e decimato. Allegri che fugge da tutto e da tutti incarna e riassume il polverone di una trama scheletrica, molto fisica e molto brutta, solcata da rari «petardi». Un incrocio di Danilo su punizione carambolata, un tuffo di Szczesny su lecca di Terracciano, un liscio di Bremer su sponda di Gatti.

Barrenechea rimane un biglietto della lotteria che «esce» sempre. Meglio Miretti, nella ripresa. L’Hellas di Zaffaroni ha fatto il dover suo e chiuso all’attacco, ebbene sì, nonostante gli ingressi di Vlahovic, Di Maria e Kostic. Sarò greve: non una sera da raccontare in giro. Magri gli applausi: al figliol prodigo in campo (Kean) e al capitano in tribuna (Del Piero). Solo a loro.

** Inter-Fiorentina 0-1. Per Inzaghi, è la decima sconfitta, la terza di fila. Per Italiano, la quinta vittoria consecutiva in campionato. Ha risolto Bonaventura, di testa, uno dei più brillanti (con Dodò, Castrovilli e Mandragora). E’ stata una partita pazza, fitta di ribaltoni e di occasioni, con il centrocampo terra di nessuno e di tutti: i più rapaci, i più veloci. Il liscio di Ikoné, i tiri di Mandragora e Castrovilli, il palo di Barella, i gol mangiati da Mkhitaryan, Lukaku (un paio, almeno) e Dumfries: poteva finire in tanti modi, ma prendersela con il caso, al decimo k.o., non regge. Più lucida, la Viola: così «droit au but» da offrire praterie ai contropiedi avversari. Più frettolosa e imprecisa, l’Inter. Un disastro, Correa titolare; e dagli ingressi di Dzeko-Lautaro, poco roba. Resta il mistero di Lukaku: implacabile in nazionale, placabilissimo nei nostri cortili. Ad Appiano, processi ed eccessi. Sull’Arno, avanti tutta. Con quel briciolo di fortuna che l’audacia, generosa, apprezza e coccola.